Campo Calabro - Cultura e Tradizioni Popolari
IL CULTO DI S. ANTONIO DA PADOVA
E’ nel 1767 che nasce ufficialmente a Campo Calabro la CONFRATERNITA INTITOLATA A SANT’ANTONIO DA PADOVA nella chiesa di S. Maria Maddalena.
Vi sono però tracce e documenti storici, che provano la devozione dei campesi nei confronti del Santo, anche nei secoli precedenti.
Si suppone che tale devozione sia stata influenzata dal soggiorno del Santo a Messina, e successivamente a Reggio, avvenuto nel XIII secolo; vi sono anche ipotesi di un suo passaggio nel nostro paese, ma sono prive di riscontri. La prima traccia concreta deriva dalla Bolla Pontificia del 13 maggio 1473, in cui viene menzionato il monastero di Campo intitolato a S. Antonio. Risale invece al ‘600 la statua lignea che tutt’ora si trova nella chiesa di S. Maria Maddalena in Campo Calabro.
I festeggiamenti annuali del Santo sono fissati per tradizione nella seconda domenica di luglio,mentre il giorno dedicato ad Antonio da Padova dal calendario dei Santi è il 13 giugno; la discrepanza fra il giorno del Santo e quello della festa è dovuta al fatto che il 13 giugno cadeva proprio nel tempo della mietitura,e quindi si preferì posticipare i festeggiamenti per consentire a tutta la popolazione di non perdere due giorni lavorativi nel periodo di maggiore impegno ; la “Festa di S. Antonio” organizzata dalla Congrega, coinvolge in maniera partecipata tutti i cittadini campesi tanto da consolidare l’idea che sia S. Antonio il patrono del paese, mentre la Santa Patrona è Santa Maria Maddalena, alla quale per tradizione non sono dedicati festeggiamenti civili. Il pasto tradizionale dei giorni della Festa era costituito dalle zucchine, “cucuzze lunghe” scavate all’interno e riempite di carne tritata . Per questo i campesi erano scherzosamente definiti dagli abitanti del paesi vicini “mangiacucuzzi longhi” .
IL CULTO DI MARIA SS.MA DEL CARMELO A MUSALA’
Il 15 novembre 1830 l’allora sindaco di Campo (Ranieri) invia una richiesta all’arcivescovo della Diocesi di Reggio per l’ampliamento della chiesa di Musalà; bisogna però andare indietro di qualche decennio per trovare riscontri circa la devozione degli abitanti di Musalà nei confronti della di Maria SS.ma del Carmelo.
Si ha notizia dell’approvazione dello statuto della “Confraternita del Carmine” già dal 1777; il primo documento ufficiale che parla della fondazione della CONGREGAZIONE DI MARIA SS.MA DEL CARMELO risale al 25 maggio 1854.
I festeggiamenti annuali della Madonna si svolgono l’ultimo lunedì di agosto.
Nella chiesa di Musalà è conservata una statua della Vergine Maria Addolorata vestita con un abito in stoffa, e dalla suggestiva espressione che contribuiscono a renderla straordinariamente viva.
Ancora oggi in onore della Madonna nel mese di luglio, durante il periodo della novena, e l’ultima settimana di agosto viene recitato in Chiesa il Rosario della Madonna Del Carmine in dialetto che è di origine secolare.
I fuochi pirotecnici sono preceduti dalla tradizionale “BALLATA RU SCECCU”; l’origine di tale spettacolare rappresentazione è controversa in quanto, visti alcuni riscontri, potrebbe risalire sia alla dominazione araba sia alla dominazione spagnola. Sembra che la danza pirotecnica ricordi il tentativo degli abitanti delle “marine” della Calabria ulteriore di difendersi dalle incursioni piratesche dei mori facendo arretrare con il fuoco le cavalcature dei pirati ( i cammelli) , da qua il nome “u camiddu” che una analoga ma molto meno spettacolare manifestazione assume in alcuni paesi della costa ionica reggina. “U sceccu” consiste in uno scheletro di verghe e canne che riproduce la figura dell’asino; è completamente rivestito di polvere pirica e botti ed è mosso nel suo ballo da un uomo che si inserisce all’interno.
All’accensione della miccia, u sceccu inizia a ballare sulle note di una musica “pilusa” e circondato dalla folla; i botti e gli scoppi innescati dalla miccia aumentano progressivamente fino alla consumazione totale.
Importante ricordare è anche che fino a qualche tempo fa la domenica mattina della festa c’era “LA FIERA DEGLI ANIMALI” , che rientrava nell’elenco nazionale delle fiere, dove gli allevatori del tempo vendevano gli animali.
LA COLTIVAZIONE DELLA VITE
Fino a pochi decenni fa la risorsa principale di Campo Calabro era l’agricoltura. Particolarmente conosciuto in tutto il comprensorio è “U VINU RU CAMPU”, apprezzato per il sapore forte e corposo e per l’elevata gradazione alcolica.
Molto probabilmente la produzione di vino risale ai tempi della Magna Grecia, ma furono sicuramente gli spagnoli ad introdurre nella nostra terra l’uva “licanti”, cioè di Alicante. Successivamente i francesi all’inizio del XIX secolo promossero miglioramenti nella coltivazione e nei metodi di vinificazione.
In questo contesto, fiorì negli anni un’altra attività di tipo artigianale, quella cioè legata alla costruzione delle botti. “I BOTTARI” come venivano chiamati i maestri di quest’arte, furono in piena attività fino agli anni ’60 del secolo scorso per poi scomparire lentamente con l’avanzare dell’urbanizzazione e la conseguente diminuzione dei vigneti.
All’inizio del ‘900 intere famiglie erano dedite a questo mestiere (Calveri, Musarella, Cosentino) e non era raro vederli collaborare negli spiazzi all’aperto, lavorando insieme a grandi progetti (alle cosiddette “bottone”)commissionati da proprietari terrieri di tutta la provincia.
LE FORNACI
Altra attività produttiva che durò fino a qualche decennio fa era quella delle FORNACI, comunemente chiamate “carcare”, per la produzione di mattoni e calce grezza. Le fornaci erano presenti perlopiù nella frazione di Campo Piale.
La materia prima era reperibile nel paese stesso, ma proveniva anche dalle zone di Musalà, S. Pietro e S. Lucia e veniva trasportata dai “vaticali” (così si chiamavano quelli che svolgevano questo servizio) fino alle fornaci, servendosi dei propri muli.
LA PRODUZIONE DELLA SETA
Tutti conosciamo la località “Casa d’Erba” a Matiniti ma non tutti sappiamo il perché di questo nome. Ebbene, la “Casa d’Erba” è la versione campese della famosa Villa Erba che è costruita sulla sponda del lago di Como ed è stata la dimora di Luchino Visconti.
Nei primi anni del 900 un imprenditore , uno degli eredi di Carlo Erba, fondatore dell’omonima casa farmaceutica e fra i proprietari di Villa Erba, arrivò qui in Calabria proveniente da Como, paese già famoso per la produzione della seta ,ed acquistò un appezzamento di terreno per coltivare “u sezu” il gelso che sarebbe servito per nutrire “u vermiceddu” il vermetto della seta che si nutriva esclusivamente delle foglie di questa piante.
L’imprenditore, decise di venire in questa zona perché la coltivazione della pianta ben si adattava al nostro clima.
Arrivato in Calabria, contattò le persone più in vista dell’epoca alle quali vendette “u vermiceddu”, le quali iniziarono a farli riprodurre e cominciò la produzione della SETA.
La prima Filanda venne costruita dallo stesso imprenditore a Villa San Giovanni vicino allo scalo ferroviario.
L’ 80% dei campesi in quegli anni aveva in casa “u vermiceddu” che veniva accudito e nutrito con le foglie di “sezu” su delle “Cannizze.
Quando “u vermiceddu” produceva il bozzolo che veniva venduto ai produttori della seta che lo lavoravano nelle filande con i procedimenti industriali della seta.
Anche a Campo Calabro esisteva una piccola Filanda, a conduzione familiare, nel Vico Neve. La produzione della seta durò circa fino al 1950.
L’OLIO E L’ALOE
Esisteva a Campo anche “U TRAPPITU” una piccola fabbrica dove si produceva olio d’oliva, nella quale lavoravano circa dieci paesani. Essa lavorava la stragrande maggioranza della produzione di olive delle colline che circondano il paese.
Importante era anche la coltivazione dell’ ALOE, pianta grassa che cresceva su tutti i piani di Campo Calabro.
Le foglie venivano tagliate lasciate macerare per un periodo successivamente venivano sbattute con un legno in maniera che si allargassero e si potessero tirare i filamenti in terni che venivano attorcigliati e portati nelle industrie che lavoravano il materiale grezzo che sarebbe poi servito a creare le sedute delle sedie.
I GIOCHI DELLA TRADIZIONE
Ai tempi in cui l’elettronica non esisteva e internet non era contemplato nemmeno dalla fantascienza, i bambini amavano giocare con oggetti semplici spesso creati da loro stessi; venivano fuori così delle sfide individuali o tra squadre che duravano fino al cala del sole. Tra questi VECCHI GIOCHI DELL’INFANZIA vanno sicuramente ricordati:
Campanaru, Circu, ‘Brigghia, Fionda, Faddhu, Ligneddhu, Motopattini, Nuciddhi, Palorgiu, Piddhuru, Una monta, Parmu o muru, Testa ‘e cruci, Sraci o ‘cciappi, Traguardu, Petri casteddha, Landi, Cartini, Rocchellu, Corda, Palla al muro, Palla avvelenata, Cazzi catumbula, ‘Nnaculasia, ‘Cchiappari, ‘Mmucciateddha, O cucuzzaru, Latri, O schaffu, A paddha ‘rriva.
I CANTI POPOLARI
In mancanza di apparecchi televisivi e radiofonici, erano i CANTI POPOLARI ad accompagnare la dura attività lavorativa dei decenni addietro. Le più gettonate erano:
A soggira ca nora, A canzuni ‘ra donna onesta, Muttetta antica, Tutta bagnata di l’acqua viniva, A ‘zzita, U sceccu, Trentatrì carrini, U briganti Musulino, Mi ficiru sindicu, Calabrisella, A morti, Supra a ‘na petra, Chistu è u paisi aundi si perdi tuttu, Mica.
Tra queste canzoni, aventi testi dialettali, una su tutte sembra essere particolarmente vicina a Campo Calabro; sembrerebbe infatti che A soggira ca nora sia stata scritta e musicata da “Mastro” Felice Caratozzolo, cittadino campese scomparso qualche decennio fa.
Testi di Giovanna Cassone e Giuseppe Barresi
Si ringrazia per le informazioni il ragioniere Antonio Idotta
Consulenza storica del dr. Rocco Alessandro Repaci
Bibliografia:
Domenico Centorrino, “Una finestra sul passato” (Jason Editrice, 1995)